P. Paolo Dall’Oglio

“Abuna Paolo. 4 anni senza padre Dall’Oglio”. Speciale Tv2000 WebDoc sul gesuita rapito il 29 luglio 2013

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Siria: padre Dall’Oglio, la sorella a Tv2000, dopo 3 anni “l’attesa continua con insistenza e speranza”

“L’attesa per Paolo continua con insistenza e speranza”. Così Immacolata, una delle sorelle di padre Paolo Dall’Oglio, in un’intervista al Tg2000, il telegiornale di Tv2000, ha ricordato il fratello scomparso tre anni fa in Siria nella notte tra il 28 e il 29 luglio 2013. “Siamo consapevoli – ha aggiunto la sorella Immacolata – che il nostro dolore è veramente poca cosa rispetto al dolore che si ha nell’ osservare e sentire questo mondo impazzito: il dolore delle famiglie dei rapiti che non sono tornati a casa, i ragazzi vittime di violenza, le vittime della guerra. Di fronte a questi fatti siamo consapevoli che il dolore per Paolo è poca cosa e siamo vicini al dolore di tutti gli altri”. “Una volta Paolo – ha ricordato Immacolata – raccontò che avrebbe voluto essere mandato come cappellano a Guantanamo. E’ la misura della sua disponibilità ad andare a cercare ed entrare in relazione con i contesti più difficili con la consapevolezza che se non si accolgono le ferite di ognuno difficilmente si può pensare di guardare oltre”. “Paolo – ha concluso – non è stato sufficientemente ascoltato e compreso quando tentava di gridare tutto quello che poi è drammaticamente avvenuto, come lui aveva previsto”.

Un anno fa il rapimento di Padre Dall’Oglio, l’appello dei familiari 29 Luglio 2014

 Nuovo appello dei familiari di Padre Dall’Oglio a un anno dal rapimento del sacerdote italiano in Siria. “Vorremo riabbracciarlo ma siamo anche pronti a piangerlo”, dicono i familiari in un video diffuso tramite Youtube chiedendo notizie “ai responsabili della scomparsa di un uomo buono, di un uomo di fede, di un uomo di pace”. “Da un anno non si hanno più notizie di nostro figlio e fratello Paolo, sacerdote, gesuita, italiano, scomparso in Siria il 29 luglio 2013. Tanto, troppo tempo anche per un luogo di guerra e sofferenza infinita come la Siria”. E ancora: “pregheremo e saremo vicino a lui, a tutti i rapiti, agli ingiustamente imprigionati e alle tante persone che soffrono a causa di questa guerra”.

Martedì 29 Aprile 2014
RAPITO DA 9 MESI
Tutti con la famiglia per padre Dall’Oglio

“Chiediamo a chi lo detiene di dare a Paolo la possibilità di tornare alla sua libertà e ai suoi cari, e a tutte le istituzioni di continuare ad adoperarsi in tal senso”. Trentadue parole, centosessantotto caratteri. Sta tutto racchiuso in questo spazio, se ci si limita al “contatore” telematico, l’appello che i familiari del gesuita padre Paolo Dall’Oglio, rapito in Siria il 29 luglio 2013, lanciano oggi, in coincidenza con l’anniversario dei nove mesi dal suo sequestro. Dall’Oglio, 59 anni, romano, è scomparso nella regione settentrionale di Raqqa e, secondo quanto reso noto nei giorni scorsi da fonti degli insorti, sarebbe vivo e in mano ai fondamentalisti islamici dell’Isis, lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante. Tutte le fonti hanno finora confermato che padre Paolo è vivo e si trova in una delle prigioni dell’Isis – formazione di derivazione qaedista ma in conflitto con l’altra fazione ispirata ad Al Qaeda, il Fronte al-Nusra – che da oltre un anno ha conquistato ampie zone della Siria Nord e Nord-Orientale. Da parte dell’unità di crisi del ministero degli Esteri italiano la vicenda viene seguita con il massimo riserbo. Fonti vicine ai negoziati “in corso” hanno riferito che da mesi ci sono contatti a vari livelli in Siria e all’estero per la sua liberazione.
Fin qui la cronaca. Ma nessuna parola umana è in grado di descrivere adeguatamente l’instancabile impegno degli “apostoli della pace” dei nostri giorni, che pagano prezzi altissimi semplicemente per il fatto di prendere posizione. Mai per la guerra e la violenza, sempre per il dialogo e la riconciliazione. Sempre a favore dell’uomo, e mai per tutte le caricature che ne deformano le sembianze fino ad arrivare ad annientarlo. Trentadue parole, centosessantotto caratteri. Un appello essenziale, sobrio, riservato, asciutto, che i lettori del Sir e dei settimanali cattolici si sentono di condividere, e lo fanno con fermezza e con slancio, in tutta la sua drammatica attualità e urgenza. Ricordando, insieme a padre Dall’Oglio, anche i due missionari vicentini rapiti in Camerun all’inizio del mese, Gianantonio Allegri e Giampaolo Marta, e i religiosi e le religiose che hanno subito la stessa sorte in Iran, Iraq e in molte altre parti del mondo. “Penso a padre Paolo”, aveva detto Papa Francesco il 31 luglio scorso, due giorni dopo che si erano perse le tracce del suo confratello. E nell’udienza del 9 aprile, Francesco ha citato il nome di un gesuita che ha perso la vita in Siria, padre Freans van der Lugt, per ripetere il grido di dolore – “Basta violenza in Siria!” – che aveva caratterizzato la giornata di preghiera del 7 settembre scorso, in piazza San Pietro. “Nel silenzio della Croce tace il fragore delle armi e parla il linguaggio della riconciliazione, del perdono, del dialogo, della pace”, il grido sussurrato del Papa. Perché la violenza, e la guerra, non portano mai in quella direzione.
Il gesuita del dialogo interreligioso
Padre Paolo Dall’Oglio, un silenzio lungo sei mesi dopo la scomparsa in Siria
Manifestazioni in Italia e in Medio Oriente per chiedere notizie di Padre Dall’Oglio, il gesuita sequestrato in Siria lo scorso luglio da un gruppo ritenuto vicino ad al Qaeda
Sono passati sei mesi da quando padre Paolo Dall’Oglio è scomparso nel nulla. Era in Siria, con ogni probabilità a Raqqa, nel nord, tra le prime città finite sotto il controllo degli anti-governativi, poi diventata roccaforte dell’Isis, lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante, guidato a qaedisti con rapporti sempre più tesi con i ribelli siriani. Ed è a loro che si attribuisce il rapimento del gesuita 59enne, instancabile tessitore del dialogo interreligioso che aveva scelto la Siria come patria di adozione dagli anni Ottanta. L’Isis, però, non lo ha mai rivendicato. Secondo alcune fonti, non verificabili, Padre Dall’Oglio sarebbe in carcere, in una prigione dell’Isis, nel nord della Siria, insieme ad altri detenuti occidentali. Quel che è certo è che da sei mesi di lui non si sa nulla: “Non si hanno notizie”, ha ribadito pochi giorni fa il ministro degli Esteri, Emma Bonino.

Manifestazioni per Padre Dall’Oglio in Europa e Medio Oriente 
Per ricordarlo tantissime città hanno organizzato manifestazioni e veglie di preghiera: Roma, Milano, Bologna, Parigi, Bruxelles, L’Aja, Berlino e Ginevra ma anche – a testimoniare la forza dell’opera di Padre Dall’Oglio in Medio Oriente – a Beirut e a Sulaymaniah, nel Kurdistan iracheno.

L’espulsione dalla Siria
Padre Paolo Dall’Oglio – dal 2011, quando Damasco aveva iniziato a reprimere con la forza le prime manifestazioni antigovernative – si era schierato a fianco dei manifestanti e aveva chiesto a gran voce l’intervento della comunità internazionale a difesa dell’intero popolo siriano. Anche nel video dell’intervista qui accanto – dove, un anno fa, analizza la situazione in Siria – non esita ad usare parole durissime contro Bashar al Assad.
E’ stato proprio il suo attivismo non violento a renderlo inviso ad Assad che, il 12 giugno del 2012, lo ha espulso dal Paese. Il gesuita non si era arreso.

Il ritorno in Siria e la scomparsa
A febbraio era entrato clandestinamente in Siria dal Kurdistan iracheno “in un pellegrinaggio del dolore e della testimonianza”, come aveva dichiarato. E poi ancora, l’ultima volta,  “per incontrare la società civile e per ascoltare le esigenze e le priorità delle persone”, probabilmente anche per trattare la liberazione di un amico catturato come ostaggio.

Una vita dedicata al dialogo interreligioso
Entrato nel 1975 nella Compagnia di Gesù, Padre Dall’Oglio, romano, per gli studi universitari lascia l’Italia e sceglie Beirut. Nel 1982 scopre i ruderi del monastero cattolico-siriaco Mar Musa e decide di insediarsi per un ritiro spirituale dal mondo, in solitudine. Due anni più tardi, dopo essere stato ordinato sacerdote del rito cattolico-siriaco, decide di ricostruire il monastero e dopo dieci anni fonda la comunità spirirtuale mista Mar Musa, al lavoro per promuovere il dialogo tra religioni.

L’appello di un altro gesuita sotto assedio ad Homs
E proprio ieri, Frans van der Lugt, un missionario gesuita olandese che dal 1966 ha deciso di vivere in Sitia, ha pubblico un appello su YouTube, girato davanti ad un altare. Da Homs, sotto assedio dal 2012, lancia un grido di aiuto perchè le persone “non possono più sopportare l’assedio, la mancanza di viveri e di cure mediche, musulmani e cristiani, stiamo vivendo in condizioni difficili e dolorose – ha detto in arabo – soffriamo soprattutto la fame”.

Foglio 89 4

di Lorenzo Cremonesi, “Corriere della Sera”, 6/11/2013

  Foglio 89 5«Vi ricordate di padre Paolo Dall’Oglio? Forse no, forse poco. Certo è che non se ne parla. Un silenzio sconcertante. Talvolta può essere utile ad aiutare i negoziati per la liberazione degli ostaggi. Ma, quando si protrae per troppo tempo e senza riscontri, quel silenzio può involontariamente coprire un crimine. «Vi ricordate di padre Paolo Dall’Oglio? Forse no, forse poco. Certo è che non se ne parla.Un silenzio sconcertante. Talvolta può essere utile ad aiutare i negoziati per la liberazione degli ostaggi. Ma, quando si protrae per troppo tempo e senza riscontri, quel silenzio può involontariamente coprire un crimine. Allora è bene ricordarsi di lui. «Abuna», padre Paolo, in Siria è una figura molto nota. Compirà 59 anni il 17 novembre. Entusiasta fautore del dialogo islamico-cristiano, gesuita dal 1975, dopo una lunga esperienza pastorale nel Libano sconvolto della guerra civile, nel 1992 fonda una comunità spirituale in un antico monastero da lui riscoperto a Mar Musa, tra le montagne desertiche un centinaio di chilometri a est di Damasco. Da subito i suoi rapporti con le gerarchie della Chiesa locale legata a filo doppio con il regime non sono facili. Ma lo salvano la sua passione per il dialogo e la sua fede autentica, trascinante. Sino al giugno 2012, quando le sue critiche contro la feroce repressione militare gli causano l’espulsione del Paese. Pure, non si dà per vinto. A Roma si impegna per la Siria, si avvicina all’universo delle brigate ribelli. Già nella primavera del 2013 si reca in Turchia e da qui entra nelle regioni siriane controllate dalle brigate in sommossa. E in contatto con gli uomini del Nuovo Esercito Siriano Libero. Ma dal giorno della sua scomparsa, il 27-28/7, di lui si hanno solo notizie confuse, talvolta contraddittorie.

Sembra sia stato rapito nella regione della cittadina di Raqqah, nella Siria settentrionale, quasi 200 chilometri a est di Aleppo, sulle sponde dell’Eufrate, dove comincia il deserto che porta in Iraq. Zona di guerriglia, divisa tra le milizie ribelli più «laiche» e quelle invece pro Al Qaeda dominate dai fondamentalisti islamici della Brigata Al Nusra. Ma anche zona dove operano le formazioni curde, in molti casi associate ai lealisti di Bashar Assad. Una delle voci più ripetute è che cercasse di mediare la liberazione di due vescovi rapiti. Pare che volesse parlare con i capi dello «Stato Islamico dell’Iraq e del Levante», il braccio di Qaeda nella regione. Sono stati davvero loro a rapirlo? Oppure le squadracce del regime, che avrebbero tutto l’interesse ad eliminarlo e per giunta addossando la colpa ai nemici? Non lo sappiamo. Ai primi di agosto arriva la notizia per cui sarebbe stato assassinato. Vaticano e Farnesina smentiscono. Poi ancora voci non verificabili e nulla di concreto».                                                       *****

Al nostro parrocchiano Luigi Dall’Oglio, fratello di p. Paolo, e alla sua famiglia, la nostra più sincera e fraterna solidarietà umana e cristiana            (p. A.)

P. Paolo Dall’Oglio

Paolo Dall’Oglio, sacerdote romano, è stato sequestrato nel mese di luglio 2013 in Siria, e da allora non si hanno sue notizie.

Padre Dall’Oglio è stato il fondatore del monastero di Mar Musa, nel deserto siriano, dove ha creato una comunità monastica che promuove il dialogo ecumenico tra Cristianesimo e Islam.

L’Amministrazione capitolina segue con apprensione e partecipazione la vicenda del padre gesuita ed auspica una sua prossima liberazione.

Crisi siriana. Sei mesi fa il sequestro di p. Dall’Oglio. Mons. Zenari: preghiamo per tutti i rapiti

Sono passati sei mesi dal rapimento del padre gesuita Paolo Dall’Oglio, scomparso a Raqqa, zona controllata dalle “milizie islamiste dello Stato Islamico dell’Iraq”. In tante città del mondo da ieri si stanno tenendo messe e veglie di preghiera per la liberazione di tutti i rapiti in Siria.

Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di mons. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco:

R. – Non abbiamo alcuna notizia di padre Dall’Oglio! Ci sono delle voci, ogni tanto, che si rincorrono: ma non si può vagliare se siano vere o no. Purtroppo sono ormai 6 mesi… Fra qualche settimana saranno 12 mesi che sono scomparsi altri due sacerdoti, sempre nelle vicinanze di Aleppo, uno armeno cattolico e uno greco ortodosso; fra tre mesi sarà un anno dal rapimento dei due vescovi ortodossi…. Ecco, di tutte queste persone – purtroppo! – non c’è alcuna notizia.

D. – Qualcosa di più si sa, invece, sulle 12 monache rapite a Maalula?

R. – Ogni tanto trapela qualche notizia… Sono piuttosto rassicuranti: sarebbero trattate – sembra – bene; si sa, più o meno, dove sono trattenute, in una casa nella cittadina di Abrud. Questo è un caso un po’ diverso. Anche le monache, di quando in quando, possono telefonare a qualche persona, a qualche altra religiosa…

D. – Dunque la Siria è piombata anche in questa spirale drammatica dei rapimenti, che sono tantissimi…

R. – Purtroppo sì! Bisogna anche allargare lo sguardo: e la cosa diventa veramente esecrabile, perché qui si parla di centinaia di persone e si può parlare anche di migliaia se si includono tutte le tipologie di persone rapite o scomparse.

D. – Chi viene rapito?

R. – C’è la tipologia – diciamo – criminale: diverse persone sono rapite per ottenere denaro e qui nei vari villaggi e nelle varie città purtroppo è qualcosa che si verifica giornalmente. C’è poi la tipologia politica: persone di un certo rilievo sequestrate dagli uni o dagli altri per eventuali – magari un domani – possibili scambi di persona. Poi c’è della gente che è stata rapita, che è scomparsa e non si sa neanche per quali motivi… Vorrei direi che anche il rapimento di queste persone ecclesiastiche ancora non ha un motivo. Preghiamo affinché il Signore della misericordia possa toccare il cuore di tutte queste persone, perché sappiamo quanto dolore provoca alle famiglie che non sanno niente dei loro cari, scomparsi ormai da giorni, settimane, mesi… Direi che i rapimenti sono uno dei flagelli che è stato provocato da questa guerra. Vorrei che sostenessimo tutte le persone rapite e le loro famiglie con la nostra preghiera.

D. – In questa situazione la Chiesa cosa sta facendo?

R. – Una missione ardua, quella anzitutto di rimanere vicino alla gente che è qui, tutti, sia cristiani, sia di altre religioni, perché tutti soffrono queste calamità della guerra, della povertà, della fame, del freddo e questi sequestri. La prima cosa da fare è essere presenti, condividere queste sofferenze. Oltre all’aiuto materiale – quel po’ che si può offrire… – c’è soprattutto l’aiuto nella presenza, nella condivisione di questo terribile dramma che tutti stanno vivendo.

D. – Prima della Conferenza di pace che si è tenuta a Montreaux, lei ha ribadito: “Tutti si presentino davanti questa assise come se si trovassero al capezzale di una madre”, riferendosi proprio alla “madre Siria”. Come giudica questa Conferenza e gli sforzi che si stanno facendo ora di mediazione tra gli oppositori e Assad?

R. – Già dall’inizio si sapeva che questa Conferenza avrebbe dovuto superare ostacoli insormontabili. Però bisogna tentare ogni sforzo! E’ già qualcosa, che dopo tre anni le parti che erano distanti, l’una dall’altra, e che si combattevano, si ritrovano attorno ad un tavolo. Ogni piccolo passo vale già qualcosa. Come cristiani, ma anche come credenti, dobbiamo accompagnare questi sforzi di pace con la preghiera, perché mai come adesso ci si accorge che c’è bisogno dell’aiuto di Dio per ottenere questo dono, il dono della pace, che è affidato alla responsabilità umana. Non bisogna mai perdere la fiducia, anche se ci saranno dei momenti molto, molto difficili. Bisogna cercare di fare dei passi soprattutto – io direi – per quanto riguarda adesso l’aspetto umanitario. Non c’è solo la povera popolazione di questa enclave di Homs: circa 3-3.500 persone circondate e accerchiate da più di un anno e mezzo e tra queste ci sono 60-65 cristiani con un sacerdote, un religioso gesuita anziano olandese, che ha scelto di rimanere con tutte queste povere persone accerchiate… Però oltre a loro ci sarebbero circa 2 milioni e mezzo le persone che sono in una situazione simile e sono tagliate fuori da questi aiuti umanitari così necessari e così urgenti. Quindi direi che sarebbe già un bel risultato se le parti potessero mettersi d’accordo sull’accesso agli aiuti umanitari per queste diverse popolazioni che sono accerchiate o dagli uni o dagli altri.